SOLO PER UN TEMPO LIMITATO E FINO AD ESAURIMENTO SCORTE! MEGA SALDI DI FINE STAGIONE! RISPARMIA FINO AL 40% SU TUTTI GLI INDUMENTI ITALJET!
LEOPOLDO TARTARINI E LA ITALJET

Leopoldo Tartarini nasce a Bologna il 10 agosto del 1932. Il padre, Egisto, è rivenditore di motocicli, che ripara nell’annessa officina, e buon pilota in sella ad un sidecar Moto Guzzi con il quale partecipa alle competizioni locali, come il Circuito dei Giardini Margherita e la salita al Colle dell’Osservanza. Con queste premesse Leopoldo, Poldino per tutti, non può che crescere con la passione per le due ruote tanto che il padre gli costruisce un mini-sidecar sul quale scorrazzare allegramente insieme alle sorelle già all’età di quattro anni. Nel dopoguerra, finiti gli studi, si iscrive alla facoltà di Architettura a Firenze, ma rientra a Bologna dopo un anno per la morte del padre in seguito  alle ferite riportate durante una competizione.

Nei primi anni Cinquanta la Milano-Taranto è un mito per tutti i motociclisti italiani. Tartarini non è da meno e, forte degli insegnamenti del padre, decide di iscriversi nel 1952 alla fantastica corsa con un sidecar da lui assemblato intorno ad un motore BSA acquistato d’occasione. Alla partenza viene deriso da tutti i partecipanti della sua categoria che ritengono il suo mezzo assolutamente non idoneo. Il giovane Tartarini, con il compagno Sergio Calza, stupisce tutti ed alla sua prima competizione motociclistica vince la categoria davanti a ben più rinomati e titolati piloti. È l’inizio dell’avventura.

Sono gli anni della ripresa economica del Paese e tutti i giovani possiedono o sognano una motocicletta come mezzo di libertà ed emancipazione. Ma non una grossa moto: basta anche una 125 o, al massimo, una 175 con la quale andare al lavoro durante la settimana e fare qualche gara locale la domenica. Questa enorme popolarità della motoleggera non poteva che confluire in una grande manifestazione sportiva nazionale che glorificasse il mezzo ed i propri piloti.

Nel 1953 nasce a Bologna il MotoGiro d’Italia, organizzato dal quotidiano “Stadio”, ed il bolognese Tartarini, ormai contagiato dal sacro fuoco delle competizioni, è pronto a partecipare in sella ad una Benelli 125 che egli stesso ha preparato. La gara, che dura sei giorni, è massacrante per gli uomini e per i mezzi, ma Tartarini non sente la fatica e vince la classifica assoluta davanti anche a moto di cilindrata maggiore. Non da ultimo, la vittoria assume un significato maggiore perché vissuta nella sua città. Alcune settimane dopo va in scena la Milano-Taranto ed anche questa volta la vittoria di classe, con la Benelli 125 ufficiale, non gli sfugge. Ora Bologna può acclamare sicuramente il suo grande pilota. 

Sul fronte commerciale Tartarini apre a Porta Mazzini la concessionaria Benelli per Bologna. La seconda edizione del Giro d’Italia lo vede ancora in sella alla Benelli 125, nuovamente vincente nella sua classe e 2° assoluto, diventando così uno dei corridori più popolari in Italia. Alla Milano-Taranto deve invece, per la prima volta, provare il dispiacere del ritiro, nelle prime fasi, per noie al motore.

Nel 1955, al massimo della popolarità, cambia casacca diventando pilota ufficiale e capitano della squadra Ducati, al quale sono destinate le migliori moto che prepara il reparto corse. Per lui, bolognese, è l’avverarsi di un sogno. Al MotoGiro d’Italia partecipa con la Ducati 100, detta Marianna, ma alla settima tappa, quando è in testa alla classifica provvisoria, deve ritirarsi per un incidente. Per i postumi non partecipa alla Milano-Taranto. Nel frattempo, la sua concessionaria ha cambiato insegna ed ora, naturalmente, espone il marchio Ducati. Con la voglia di riscossa, Tartarini parte alla grande nel MotoGiro d’Italia del 1956, portandosi fin da subito al comando con la Ducati 125. Purtroppo, anche in questa edizione, alla sesta tappa, è vittima di un incidente: vola giù in una scarpata riportando gravi conseguenze fisiche che gli precludono ogni attività sportiva per il resto dell’anno. Si teme persino circa la possibilità di ritornare a camminare, ma dopo alcuni mesi la situazione fortunatamente migliora. 

Nel 1957 la sua ultima partecipazione al Giro d’Italia, questa volta nella classe 175, è nuovamente sfortunata, dal momento che si deve ritirare alla terza tappa. Alcuni mesi dopo le competizioni su strade aperte al traffico vengono abolite a causa di un grave incidente successo alla Mille Miglia automobilistica, per cui Tartarini rimane, per così dire, senza lavoro. Ciò non gli preclude ogni altra attività in moto ed essendo ancora sotto contratto con la Ducati, decide di onorarlo tentando, con l’amico Giorgio Monetti, un’avventura mai provata fino ad allora da un italiano: il giro del mondo in motocicletta.

La Ducati accetta la sfida, intravedendo l’enorme successo propagandistico che una simile operazione avrebbe potuto portarle, ed affida due 175 alla coppia che parte da Bologna il 30 settembre tra l’incitamento dei molti concittadini intervenuti e perfino con la benedizione del Vescovo di Bologna Cardinale Lercaro. Dopo circa un anno di viaggio, nel quale vivono mille avventure narrate in una serie di lettere che sono puntualmente pubblicate da tutta la stampa del settore, creando un’enorme enfasi, rientrano trionfalmente a Bologna il 5 settembre 1958. A questo punto Tartarini, il “primo” motociclista di Bologna e fra i più popolari in Italia, pensa sia giunto il momento di capitalizzare la sua notorietà diventando egli stesso costruttore di motociclette.

Nel 1959 sviluppa l’idea e prepara gli accordi commerciali ma, ufficialmente, la Italemmezeta è costituita a Bologna il 4 febbraio 1960 con oggetto la “costruzione ed importazione di motocicli e ciclomotori”. Prima sede operativa, un semi scantinato di Via del Piombo; sede legale ed amministrativa in Via Ugo Bassi. La società si dedica subito alla costruzione di propri modelli con motori di 125 cm3 della tedesco-orientale MZ (Motorradwerke Zschopau), tralasciando l’attività di importazione di moto complete.

Già dall’origine rileviamo l’audacia, quasi la temerarietà di Tartarini che, forte della sua fama di corridore e probabilmente “temprato” nei rapporti interpersonali dall’esperienza del Giro del Mondo, non esita ad allacciare contatti commerciali con la Germania dell’Est, allora assolutamente impenetrabile nella sua “cortina di ferro”. Ma l’incredibile non sta tanto nell’aver chiesto, quanto nell’aver ottenuto. Cosa che, poi, gli riuscirà nuovamente diverse altre volte con costruttori che mai prima di allora avevano accettato di fornire ad altri i loro prodotti. In ogni caso la sua rimarrà per i primi vent’anni un’attività di “semi-costruttore”, dal momento che il primo motore con marchio proprio sarà prodotto solo nel 1980.

Fin dall’esordio troviamo però un elemento che caratterizzerà tutta la successiva produzione: innovazione nello stile e capacità, anche con pochi piccoli dettagli, di saltare oltre l’asticella posta fino a quel momento dal generalizzato gusto del mercato motociclistico. Il primo grande successo è già in gestazione nel 1962. È un ciclomotore di stile sportivo con un nome che non poteva essere più appropriato: Italjet (anche questa un’idea meravigliosa). La sua verniciatura metallizzata bicolore riprende quella delle Ducati 125 e 200, quasi idealmente ad affiancarle, dandogli un sottinteso significato di “sorelle minori”. Anche in questo Tartarini si dimostra subito abile, cercando cioè di amalgamare fra le sue idee alcuni degli elementi che caratterizzano le migliori moto in quel momento sul mercato.

Nel 1964 nasce la serie Mustang col modello SS. Ancora una volta la potenza innovativa, nel suo piccolo, è enorme: telaio a doppia culla rialzata, mai visto in precedenza; grosso serbatoio sormontato da due tappi (dei quali uno si rivela la sede del conta chilometri) affiancato da una leggerissima ed ardita sella (da lui brevettata); manubrio basso molto sportivo; infine, freno anteriore, bellissimo, ventilato a doppio piatto e quattro ganasce (quasi un freno da competizione che serve, anche “visivamente”, a giustificare la necessità di frenare una moto di aspetto decisamente “corsaiolo”). Questa caratterizzazione estrema di un semplice ciclomotore rimane subito impressa nella mente dei ragazzi di allora, creando un mito. Il telaio a doppia culla rialzata è una novità assoluta, poi ripresa perfino dalla più importante casa costruttrice di motocicli in Italia, la Moto Guzzi. Serbatoio e sella sono in seguito modificati dando vita al Mustang Veloce, una “strizzata d’occhio”, nella forma del serbatoio, alle Aermacchi serie Ala che allora furoreggiavano sia su strada che in pista. Nuovamente ci si ricollega a moto di cilindrata maggiore, quasi ad invogliare i quattordicenni a prendere una Italjet perché in qualche elemento assomiglia alla moto del fratello maggiore o dell’amico più grande, che loro possono per il momento solo sognare.

Negli stessi anni Tartarini comincia ad esportare in Europa, America del Nord e del Sud, Africa. Questa è un’altra capacità di cui gli si deve dare atto e che può ricollegarsi idealmente al suo “anno vissuto pericolosamente”. Sono veramente poche le ditte italiane che, in quegli anni, si propongono negli Stati Uniti ottenendo un certo successo; oltre ad Italjet, probabilmente solo Garelli, Benelli, Ducati e Parilla. Un proprio distributore in California è un successo enorme per una ditta che ha solo cinque anni di vita.  Ha inizio il periodo di maggiore creatività di Tartarini ed i modelli che arriveranno alla produzione di serie saranno solo una parte di quanto lo “stacanovista” reparto “studi, progettazione e sviluppo”, cioè lui medesimo ed un paio di fidati collaboratori, realizzerà.

Alla fine del 1965 nasce il Vampire 60, espressamente progettato per le competizioni di velocità della neonata categoria Cadetti. Tartarini nuovamente anticipa il merca-to alzando ancora l’asticella dello stile. La moto è un esempio mirabile di leggerezza e potenza, mentre la colorazione giallo-rossa ne risalta maggiormente le caratteristiche. In pista la moto sbaraglia tutta la concorrenza fin dalla prima gara. Ma Tartarini spazia a tutto campo, dai ciclomotori alle maximoto, ed al Salone di Milano, a fine anno, presenta il Grifo 500 motorizzato con l’inglese Triumph. Un risultato che ha dell’incredibile: una piccola azienda che fino ad allora aveva essenzialmente operato nel campo dei ciclomotori, si lancia nel mondo delle grandi moto accettando di sfidare i famosi marchi inglesi allora dominanti. E lo fa scegliendo proprio il motore più importante nel mercato di allora, di una ditta che mai fino a quel momento aveva avuto la benché minima idea di affidare il proprio “cuore” ad altri costruttori. 

È significativo che nella corrispondenza fra Triumph ed Italjet si trovino comunicazioni nelle quali è espressamente richiesta la cancellazione di ogni marchio Triumph dai motori forniti a Tartarini: quasi a non voler mischiare il proprio blasonato nome con il piccolo e “folle” assemblatore italiano. Certo che la “faccia tosta” e la “lucida follia” di Tartarini raggiungono qui vette elevate. Sempre nella corrispondenza originale ci sono lettere in cui conferma programmi di produzione per migliaia di pezzi, bluffando clamorosamente sull’effettiva capacità operativa aziendale, le sue possibilità commerciali e di assistenza tecnica. E tutto questo fa breccia in un’industria inglese che già dà segni di sbilanciamento, di fronte alla nascente sfida lanciata dalla concorrenza del Sol Levante.

In quegli anni la collaborazione con il gruppo inglese Triumph Ariel BSA porta anche alla presentazione di una moto da 160 cm3 a marchio ARIEL e motore Minarelli. Purtroppo lo studio non passa la fase prototipale a causa di contrasti sorti all’interno del gruppo inglese ma, vale la pena ripeterlo, Tartarini è ancora anticipatore, sia come stilista che come produttore, nella collaborazione con l’industria britannica.

Nella fitta ragnatela delle attività del 1965 troviamo anche l’accordo commerciale con la Jawa-CZ per la fornitura di motori di varie cilindrate. Alla positiva conclusione di questo contratto sicuramente contribuisce la collaborazione già esistente con la MZ che gli consente di abbattere nuovamente il grande muro degli scambi commerciali fra Ovest ed Est Europa. Tale rapporto sarà proficuo per diversi anni fino al periodo 1969 -’71, quando Tartarini diventerà importatore in Italia anche delle plurivittoriose moto da cross prodotte dalla CZ.

Nel 1966 la Italjet apre anche la propria attività a clienti esterni fornendo prototipazione, industrializzazione e montaggio di motocicli finiti. Nel corso degli anni saranno firmati accordi con Mi-Val, Vi-Vi ed in special modo Ducati, azienda con la quale Tartarini ha sempre continuato ad avere ottimi rapporti. Più avanti, verso la seconda parte degli anni Settanta, la collaborazione sarà assai intensa tanto da far conoscere Tartarini anche come “stilista” di casa Ducati. A lui si deve il merito di aver reso attraenti modelli (ad esempio la serie dei bicilindrici paralleli o la 860 GT) fino a quel momento di scarso interesse per il pubblico. Tartarini svolge egregiamente tale compito accreditandosi come uno dei migliori designer motociclistici italiani.

Nel 1967 Italjet rivoluziona ancora una volta il mercato lanciando la linea di ciclomotori a ruota bassa con le serie Gò Gò, Scout e Ranger. La novità sta nel considerare ora il ciclomotore non più, o meglio, non solo un mezzo evocativo della “dea velocità” o di semplice trasporto, ma anche un mezzo da svago con cui assaporare la conquista di una maggiore libertà, fortemente voluta dalla rivoluzione giovanile dell’epoca. Il telaio a culla alta è sempre in evidenza (quasi un marchio di fabbrica) ma la singolarità, in special modo nel Gò Gò, è lo strano serbatoio situato così in avanti da lasciare libero lo spazio in mezzo alle gambe, quasi come uno scooter, ed abbracciare invece il cannotto di sterzo. Sulla parte frontale campeggiano, poi, due grandi occhioni da cartone animato simili a quelli del casco del grande pilota Renzo Pasolini. E Tartarini colpisce nel segno, tanto che il Gò Gò ha un tale successo da essere largamente venduto anche all’estero.

L’esportazione in molti paesi europei ed extra-europei continua a crescere, al punto da rendere necessaria l’adozione di marchi differenti su alcuni mercati, tra questi: Tarbo per la Francia, Roma per gli USA, Ital per l’Europa del Nord, per poter avere diverse linee produttive con differenti distributori. Intanto, essendo cessati già da qualche tempo i rapporti commerciali con la MZ, la società nel 1967 cambia ufficialmente ragione sociale e diviene Italjet. In questo periodo entra in azienda Gianni Cinelli, valente collaboratore al quale verrà affidata la direzione tecnica sia del reparto sperimentale e competizioni che di quello di assistenza tecnica legato ai marchi via via importati nel corso degli anni.

Ma la mente di Tartarini è instancabile e sempre in movimento cosicché l’anno successivo, il 1968, vede la luce il primo ciclomotore pieghevole della Italjet: il Kit-Kat. Questa volta ci si rivolge ad una particolare nicchia di mercato: quella del due ruote come mezzo complementare ad altro mezzo di trasporto. Il Kit-Kat è veramente minuscolo, ha ruote piccolissime, da 5 pollici, ed è studiato per essere inserito, una volta ripiegati il manubrio e la sella, in un’apposita sacca e riposto nel bagagliaio dell’auto, in un camper, sulla barca, accompagnando il proprietario perfino nei viaggi in treno.

Ora, non è qui nostro compito individuare se in assoluto Tartarini sia stato l’inventore di questi piccoli mezzi da trasporto, ma certamente è stato colui che li ha resi in Italia prodotto industriale dandone, più di ogni altro, una certa diffusione. Ad avvalorare l’idea dell’attività “a tutto campo”, nello stesso anno entra in produzione la maximoto denominata Grifon, spinta da un motore Triumph 650, lo stesso del mitico Bonneville. Qui la sfida impari, che ha sempre appassionato Tartarini fin dai tempi delle gare motociclistiche, raggiunge un alto livello: Davide contro i Golia dell’industria motociclistica mondiale, Italjet contro i famosi marchi italiani, giapponesi, inglesi e tedeschi. In effetti, l’originalità sta proprio nel proporsi, al contrario delle grandi case, come costruttore molto flessibile, pronto a soddisfare anche esigenze particolari dei propri clienti, creando vere e proprie “special” col cuore inglese ed un telaio originale corredato dal meglio della componentistica italiana.

In effetti, la ciclistica è di tutto rispetto e ben superiore a molte concorrenti. Purtroppo così non si può dire per il motore che, nonostante il suo blasonato pedigree, non è più al passo coi tempi. La moto è bella, agile e leggera ma il propulsore non è all’altezza ed il prezzo, viste le quantità prodotte, non può essere concorrenziale. Nei due-tre anni successivi sono proposte modifiche stilistiche ed anche versioni più vicine al gusto americano. Rimane nella storia un risultato che nessun’altra piccola industria motociclistica italiana di quegli anni ha realizzato, posizionando forse il Grifon un gradino al di sopra delle sue dirette concorrenti del tempo.

Nel 1968 nasce anche la collaborazione con Floyd Clymer per la produzione di modelli col marchio Indian destinati esclusivamente al mercato americano. Costui è un notissimo personaggio nel mondo motociclistico yankee, già pilota di fama negli anni Venti, successivamente concessionario, prima Harley Davidson e poi Indian, ed ora editore della più importante rivista motociclistica statunitense, “Cycle”. I progetti sono grandi, come grande è quel mercato. Clymer è dotato della stessa “follia” di Tartarini e si lancia in questa nuova attività forse in un modo non adeguato rispetto alle proprie forze, sia fisiche che economiche. Inizialmente cerca collaborazione nel tedesco Friedel Munch, dal quale importava le motociclette Mammuth dotate del motore automobilistico NSU, ma, capita la sua impossibilità materiale ad assecondarlo, trova in Tartarini, del quale aveva ammirato i prodotti al Salone di Milano, il giusto alleato per questa storica avventura.

Tartarini produce per lui negli anni seguenti diversi modelli, dalle mini alle maximoto, queste ultime con motore Velocette 500 e Royal Enfield 750, oltre che una buona serie di prototipi, anche motorizzati Norton e Horex. Sono però soprattutto le mini a conquistare fin da subito il mercato, mentre le maxi, per vari problemi, saranno prodotte in numero assai limitato.

Purtroppo Clymer muore improvvisamente all’inizio del 1970 e chi prosegue la sua attività annulla definitivamente ogni richiesta di moto di grossa cilindrata. Proseguirà, fino alla metà degli anni Settanta, la vendita in grande quantità delle mini moto, spedite entro un innovativo imballo totalmente di polistirolo.

Intanto, sul fronte interno, inizia la produzione in serie limitata di modelli destinati esclusivamente al fuoristrada agonistico: Piranha 50, Cross Casa 50-60 e Zorro 175, moto particolarmente curate e competitive. Con lo Zorro gareggia nel Lazio Paola Dolci, l’unica donna motocrossista di quei tempi ad ottenere risultati di un certo rilievo. Tartarini, inoltre, tenta di entrare anche nel mercato delle medie cilindrate proponendo modelli col motore Jawa 350 bicilindrico. Totalmente al di fuori dai suoi interessi motociclistici, ma ugualmente collegato alla velocità, è un prototipo di Ski-Bob, specialità di sport invernale diffusa in quegli anni. Su di esso applica una sospensione anteriore ed un’affusolata carenatura consentendo al team svizzero che glielo ha commissionato di vincere in tutte le competizioni.

L’anno 1968 si chiude con l’inaugurazione dello Speed Center, definito dalla rivista “Motociclismo” “il paradiso dei motociclisti italiani”. È un’idea di origine americana, strettamente commerciale e assolutamente nuova: sicuramente fu il primo in Italia e, probabilmente, anche in Europa. In sostanza, si tratta di un Grande Magazzino dedicato esclusivamente al motociclismo dove si trovano moto di grossa cilindrata e da corsa, oltre che la più vasta gamma di accessori, parti speciali staccate e capi d’abbigliamento. In totale, oltre un migliaio di articoli. Il successo è enorme e folti gruppi di appassionati giungono anche da lontano per visitarlo e fare acquisti.

Nel 1969 vedono la luce le minimoto da fuoristrada, altro capostipite nella produzione Italjet. Inizialmente con motore Franco Morini 50, sono destinate ai bimbi di tutte le età. Mini-Mini Bambino e Junior Cross sono le prime di una serie che andrà avanti per oltre trent’anni con modelli di varie taglie e specifiche, prodotti appositamente per seguire passo passo la crescita dei piccoli centauri, dai 5 ai 14 anni. La grande innovazione consiste nel fatto che queste non sono moto giocattolo ma vere e proprie moto da cross in miniatura, via via sempre più grandi e performanti. Con esse hanno iniziato a correre e vincere piloti di diversa nazionalità poi diventati famosi a livello internazionale, sia nel cross che nella velocità. In questo filone Italjet sarà leader mondiale riconosciuto.

A fine anno sul Circuito di Monza lo stesso Tartarini batte alcuni Record Mondiali di velocità con un cycle car a tre ruote (due anteriori sterzanti ed una posteriore motrice) spinto da un motore CZ 250 raffreddato a liquido. La giornata piovosa non gli consente, purtroppo, di completare il programma previsto. Comunque la scelta di competere in una categoria totalmente sconosciuta in Italia, con primati inglesi che risalivano a diversi anni addietro, trova la sua logica spiegazione nel principio, proprio di Tartarini, per cui era importante raggiungere la maggiore promozione possi-bile con uno sforzo economico relativo ma, in ogni caso, in modo eclatante e fuori dagli ortodossi schemi pubblicitari.

Sull’argomento è d’obbligo segnalare l’innovativa campagna pubblicitaria lanciata in quegli anni, ancora oggi nella mente dei lettori di riviste motociclistiche, nella quale si vedono i modelli Italjet in volo su quello che si rivela il profilo di un bel corpo femminile. Ancora nel campo della promozione ricordiamo il Club Bielle Roventi, il cui nome era già tutto un programma, nato allo scopo di fidelizzare, come si direbbe oggi, i giovani al marchio Italjet, concedendo gratuitamente, dietro la spedizione di un coupon da ritagliare dalla rivista “Motociclismo”, tessere e gadget personalizzati. Il successo fu così travolgente ed inaspettato che l’azienda si vide costretta, dopo solo pochi mesi, a pubblicare una pagina pubblicitaria con la quale chiedeva la sospensione degli invii, “soffocata” dalle richieste.

Nel 1970 Italjet lancia il marchio Ossobuco che comprende una serie di moto a ruote basse destinate al facile divertimento e comunemente conosciute negli Stati Uniti come “funny bikes”. Ridotti al minimo indispensabile, con un telaio consistente in quattro tubi piegati ed un motore il più delle volte destinato originariamente a moto falciatrici o similari, gli esemplari d’oltre oceano hanno come unico vantaggio il costo veramente contenuto. Le Ossobuco sono di gran lunga superiori alle omologhe americane, e questo viene avvalorato da quanto Tartarini afferma, con un’osservazione che riflette il suo pensiero nei confronti di ogni tipo di moto, in una lettera inviata a Clymer: “I prodotti dove si rincorre il basso costo fanno lavorare male i costruttori e gli importatori. Un articolo economico, infatti, creerà sempre dei fastidi di ogni genere ed anche la clientela che si acquisisce è la più misera e nel medesimo tempo quella che ha le maggiori pretese. Inoltre, questi minibike che tu definisci ‘costruiti da un fabbro’ non sono adatti al carattere ed alle impostazioni della Italjet”. 

Si tratta comunque di un altro filone produttivo che Tartarini svolge per primo in Italia e che altri successivamente seguiranno. Inoltre, per la prima volta su di un motociclo viene usato il poliuretano schiumato per modellare il gruppo finto serbatoio-sella (il vero serbatoio era posizionato nella trave centrale del telaio). Ma Italjet non dimentica le competizioni ed in quello stesso anno prepara due moto destinate ai Gran Premi di velocità. La prima, equipaggiata con il motore CZ 250 con cui Tartarini aveva battuto i record a Monza, fa un’apparizione sul Circuito di Cervia-Milano Marittima affidata al pilota senior Gianni Ribuffo, mentre la seconda, spinta da un propulsore Yamaha 125 bicilindrico, viene guidata da Mario Lega nel Campionato Italiano Junior. 

Sempre nel corso dell’anno nasce ufficialmente la collaborazione con Yamaha che porterà ad un impegno ben più consistente e fruttuoso negli anni successivi, fino al 1976. Infatti, Italjet diventa importatrice unica di tutta la gamma della casa giapponese, comprese le moto da competizione clienti.

A causa delle note limitazioni legislative, deve però limitarsi a vendere moto sopra i 350 cm3, quindi, per le cilindrate inferiori decide di produrre in proprio dei modelli equipaggiati col motore giapponese. Per aggirare la regolamentazione che impedisce l’importazione dal Giappone anche dei soli motori, si escogita un sistema di triangolazione che li vede giungere dapprima in una filiale Yamaha in Turchia, dove vengono parzialmente assemblati con telai e ruote; il tutto viene poi importato in Italia per essere nuovamente smontato e riassemblato secondo una più precisa procedura di catena di montaggio. Con questo accordo Tartarini segna un altro importante successo nella sua carriera, considerato che una prestigiosa casa come Yamaha, in quegli anni vittoriosa nei Campionati del Mondo in varie classi, aveva scelto Italjet come partner per l’Italia, un mercato a quel tempo certamente difficile per la motocicletta straniera.

Negli anni successivi l’impegno maggiore della ditta si concentra sulla commercializzazione delle moto giapponesi, mentre il nuovo risponde ad un altro nome diventato di grande successo: il Buccaneer. Presentato al Salone di Milano di fine 1972 e commercializzato l’anno seguente, si rivela subito con le caratteristiche adatte a farne una moto da competizione Junior, classe che prevede appunto motocicli derivati di serie. Col suo motore bicilindrico a due tempi è nettamente al di sopra delle altre moto, tutte monocilindriche, tanto da indurre subito qualche concorrente a seguirne la strada.

Il Buccaneer entra ufficialmente nelle competizioni l’anno successivo e la Aermacchi, fino ad allora padrona assoluta del campionato, diventa subito vecchia. L’Italjet vince dal 1973 al 1975 il Campionato Italiano Junior 125 con i piloti Marino Maspes, Domenico Battilani e Giorgio Avveduti, piazzando anche molti altri piloti. La politica adottata dalla casa bolognese è semplice: le moto ufficiali sono ogni anno solo quattro, mentre tutti gli altri piloti hanno moto che si gestiscono in proprio, ma con la possibilità di ottenere direttamente da Italjet, con una spesa di 200.000 lire, tutti i ricambi necessari per la stagione. Il Buccaneer stradale si evolve nel corso degli anni aggiungendo nuovi componenti tecnici che lo tengono sempre al top della categoria. Cessa la sua fortunata carriera dopo ben otto anni, non per sue cause specifiche, ma per il mutato gusto dei giovani di fine anni ’70, attratti dalle moto da fuoristrada. È stata sicuramente la moto Italjet che ha avuto maggiore successo.

Cessato il rapporto con Yamaha, Tartarini, che ha sempre compreso l’importanza di avere un partner commerciale per completare la propria gamma, nel 1977 sigla una collaborazione con Bultaco per l’importazione e distribuzione in Italia dei suoi modelli, tutti destinati al fuoristrada, riuscendo così in parte a non “perdere il treno” del cambiamento nei gusti dei giovani motociclisti. Per tale attività viene creata un’apposita società chiamata Sun International.

Nel 1978 viene presentato il Pack-A-Way, ciclomotore pieghevole a ruote basse, ispirato al precedente Kit-Kat, ma con un telaio a trave centrale, che funge anche da serbatoio, ricoperto da una sovrastruttura unica di colore nero opaco in poliuretano schiumato. Si tratta, in parte, della ripresa di alcuni temi della precedente serie Ossobuco. Per le sue innovative forme e per i concetti costruttivi, questo modello entrerà nel 1980 a far parte della collezione permanente del Museo d’Arte Moderna di New York, il prestigioso MOMA.

Nel 1982 il modello si evolve in Pack 2, adottando la parte meccanica e di trasmissione del Ciao della Piaggio. E così anche la più grande casa italiana di motoveicoli accorda il privilegio della fornitura motori, in precedenza mai concessa a nessuno e, credo, neanche successivamente. Il modello diventa nel tempo un must per i possessori di grosse imbarcazioni e viene anche fornito di serie su alcune di esse. Diventa il ciclomotore pieghevole per eccellenza. 

Il Pack rimarrà in catalogo fino alla metà degli anni ’90. Ancora con meccanica e trasmissione Piaggio, questa volta della serie Ape, Tartarini “inventa” un trike, motociclo con due larghe ruote tassellate posteriori motrici ed una centrale anteriore simile alle precedenti, sterzante, che chiama Ranger. Il nome ne indica chiaramente l’attitudine a muoversi sui terreni montani, aggiungendo una buona possibilità di carico. È un tipo di motociclo completamente nuovo, mai posto sul mercato in Italia fino a quel momento.
Negli anni seguenti, sulla stessa linea, ma con solo due ruote, viene prodotto lo Skipper che adotta un motore Honda Italia 125 a 4 tempi. E questa volta è addirittura la maggiore casa motociclistica mondiale ad acconsentire alle richieste di Tartarini. La moto rientra il quel filone detto delle “sand bike”, moto da sabbia. In ogni caso, a ben analizzare, sia Piaggio che Honda accettano le proposte di Tartarini in quanto il prodotto finale è classificabile in una precisa nicchia che non è mai in diretta concorrenza con i modelli presenti nella gamma delle due grandi case. Rimane comunque un fatto: si ritengono in ogni caso soddisfatte dalla serietà del marchio Italjet.

Tutte queste “strane” idee, in effetti, pur essendo frutto di sintesi della sua mente, traggono ispirazione dal mercato giapponese per il quale Tartarini ha sempre avuto grande considerazione. Fin dalla fine degli anni ‘60, infatti, visita il Salone di Tokio e riceve pubblicazioni motociclistiche giapponesi dalle quali “estrapola” ciò che poi rimodella secondo il suo gusto, confezionando un prodotto nuovo e diverso, adatto ad interessare il mercato interno. 

Nel 1979 il lavoro si concentra sull’attività commerciale e di assistenza tecnica alla Bultaco, allora molto impegnata nel campo del trial, sia competitivo che dilettantistico. L’anno seguente la situazione economica della casa spagnola si aggrava, tanto da sospendere l’attività produttiva ed anche agonistica, la cui assistenza era comunque affidata agli importatori locali. Durante una prova internazionale di due giorni svolta in Italia, il tecnico Italjet Gianni Cinelli riesce in una notte di lavoro a riparare la moto del pilota di punta Bultaco, il campione del mondo Bernie Schreiber, che aveva subito gravi danni al motore, consentendogli di vincere la seconda giornata di gara. A quel punto Schreiber, che era rimasto appiedato dalla Bultaco, chiede a Tartarini di gareggiare per Italjet, che però non ha una moto da affidargli. La decisione viene presa in pochi giorni: ottenuto l’apporto del tecnico spagnolo Manuel Marqués, che da sempre seguiva il reparto corse Bultaco da trial, Italjet entra a tutti gli effetti nel Campionato Mondiale Trial. Il secondo pilota ufficiale sarà l’italiano Ettore Baldini che gareggerà anche nel Campionato Italiano. A favore di questa decisione pesa molto anche la possibilità immediata di mantenere la clientela Bultaco, offrendo loro un prodotto italiano all’altezza del precedente spagnolo.

Il primo prototipo da gara, completato in poche settimane, è in buona parte ripreso, per quanto riguarda la ciclistica, dalla Bultaco ed ha un motore ottenuto accoppiando manovellismo e termica Bultaco ad un cambio Ducati Scrambler 125. L’esordio è nella prova svizzera dove sia Schreiber che Baldini, per cause imputabili al percorso troppo veloce, finiscono fuori tempo massimo. Ma i risultati non tardano ad arrivare e, grazie anche alla straordinaria forma dei due piloti, la moto vince nella seconda parte della stagione a passo trionfale la Due Giorni Internazionale di Pinerolo, le ultime quattro prove iridate e due prove del Campionato Italiano, cosicché a fine anno Italjet è Vicecampione del Mondo Trial con Schreiber e Vicecampione Italiano Senior con Baldini. Un risultato inimmaginabile a priori, se consideriamo che si era partiti dal nulla a metà stagione.

Dall’anno successivo Italjet entra ufficialmente nel mercato delle moto da trial diventando per la prima volta anche produttore in proprio dei propulsori, nella cilindrata convenzionale di 350 e 250 cm3. Le moto hanno fin da subito successo, spinte dalle fenomenali imprese di Schreiber e Baldini. Il motore è la versione industriale di quello già realizzato dal Reparto Corse per le moto da gara, ma l’innovazione ispirata da Tartarini e disegnata dal tecnico Renzo Nieri, allievo e collaboratore di Fabio Taglioni, consiste nell’aver pensato ad uno stesso basamento che potesse ugualmente ospitare una distribuzione a 2 o 4 tempi, sia raffreddata ad aria che a liquido. Ciò per dar modo di ampliare la gamma moto offrendo modelli stradali o fuoristrada anche a 4 tempi.

L’attività competitiva Trial continua negli anni seguenti sia nel Campionato Mondiale che nei Campionati Italiani Senior, Junior e Cadetti.

Il 1984 vede la presentazione del Tiffany, un ciclomotore a ruote alte, distribuito anche da Yamaha Europa, diretto discendente delle vecchie biciclette a motore dell’immediato dopoguerra, spinto dalla stessa meccanica del Pack, ovvero quella del Ciao Piaggio. È un avvio dello stile retrò che verrà con successo ripreso nel decennio seguente con lo scooter Velocifero.

Nel 1988 inizia una nuova era, quella degli scooter, che vedrà Italjet e Tartarini ancora attivi e protagonisti della scena fino ai primi anni del nuovo secolo con modelli come Velocifero, Formula, Dragster e Torpedo. Ma l’animo motociclistico di Tartarini al volgere del secolo non è ancora pago e così al Salone di Milano del 1999 viene esposta una “naked” denominata Grifon 900 dal cuore tricilindrico inglese Triumph. Il modello entusiasma il pubblico e riceve i migliori commenti da tutti gli addetti ai lavori. Ancora una volta Tartarini ha colpito nel segno. Ancora una volta ha chiesto ed ottenuto la collaborazione di un famoso marchio, nel frattempo rinato ed in piena ascesa.

Spinto dai buoni risultati aziendali e da una mai sopita voglia di competizioni, Tartarini, nel 1999 si lancia anche in un’altra grande avventura: la partecipazione al Campionato Mondiale di velocità nella Classe 125. Vengono allestite due moto, finite in un bellissimo azzurro brillante, e della squadra, gestita da Andy Leuthe, fanno parte Jaroslav Hules ed il debuttante Leon Haslam, oggi vicecampione del mondo della Superbike. Dopo un paio di stagioni di rodaggio, lo sviluppo viene affidato ad un tecnico di provata esperienza come Jorge Moeller, più volte Campione del mondo con la Morbidelli, e la moto comincia a dare qualche buon risultato, soprattutto nelle mani dell’esperto pilota Stefano Perugini.

Nel decennio scorso Italjet è stata tra le prime aziende al mondo a credere nel fenomeno e-bike, lanciando una gamma completa di elegantissime biciclette a pedalata assistita in stile vintage esportate e vendute in tutto il mondo. Oggi Italjet è una delle poche Aziende Motocicliste al mondo che appartengono e sono guidate dalla stessa famiglia fin dalle origini, conservando sempre lo stesso DNA e spirito innovatore fuori dagli schemi. Attraverso ingenti investimenti in Ricerca e Sviluppo, Italjet sta attuando una strategia che mira alla "qualità totale" ed alla massima originalità costruttiva, impegno in cui tutto il personale è coinvolto e motivato in prima persona. Sempre nuove soluzioni tecniche e stilistiche per soddisfare o stimolare desideri latenti del consumatore moderno, sempre più attento al design e al significato emotivo del possedere qualsiasi cosa, anche una moto. 

Negli stabilimenti di Castel Guelfo a pochi chilometri da Bologna, l'ufficio Marketing di Italjet cuore e motore dell'attività di ricerca e sviluppo, progetta e realizza novità significative nel panorama internazionale dei motocicli. Una storia recente di creatività e innovazione che si congiunge al passato ricco di aneddoti e successi sempre al confine fra design e tecnologia una combinazione di eclettismo e rigore davvero unica. Dal 2018 l’Azienda si è focalizzata nella progettazione, nel design e nel lancio del nuovo Dragster, riscuotendo un successo planetario fin dalla presentazione del primo prototipo a Eicma 2018, successo poi confermato dalle migliaia di prenotazioni pervenuti da tutto il mondo al momento della presentazione del veicolo definitivo nel 2019. 

Oggi Italjet esporta in oltre 40 paesi in tutto il mondo con la missione di sempre, creare “opere d’arte a due ruote”.